lunedì 3 novembre 2008

Intervista al professor Pier Franco Conte



Di Francesca Mazzucato


Vado a Modena per intervistare Pier Franco Conte, direttore del dipartimento di Oncologia ed Ematologia del Policlinico della città. Non ci sono mai stata al policlinico, temo sempre di essere in ritardo, così prendo un taxi e come sempre ne approfitto per fare un po’ di domande al tassista. Non ho la patente, ma nemmeno la vorrei, i tassisti sono le mie bussole per conoscere gli umori, le realtà territoriali, le questioni dal punto di vista della gente, di chi ci sta in mezzo, di chi vede correre, affrettarsi, soffrire, attendere.


- Un tempo mica ci andavano in tanti all’ Oncologia di Modena


- Ah no?


- No, dicevano che era meglio a Reggio. Ma saranno otto o nove anni che ne parlano benissimo. Quelli che ne parlano, perché sa, andiamo a prenderne molti dopo le cure e non hanno voglia di dire niente.


Il professor Conte è qui dal 2002. Entrando nell’ospedale , il Padiglione Pier Camillo Beccarla, dedicato a un sindaco della città morto di cancro( informazione del tassista), si rimane francamente stupiti. E non è che a Bologna gli ospedali siano brutti, tutt’altro. Qui però ci sono le indicazioni in arabo e in inglese e l’effetto è notevole: un ospedale ben organizzato, arioso, è tutto come dovrebbe essere per far sentire agio in chiunque possa capitare qui, e in una società multietnica e stratificata, possono capitare persone che necessitano di indicazioni non solo in italiano, o di mediatori culturali che, difatti, sono a disposizione. Il professor Conte è il vincitore dell’edizione 2007 del Premio internazionale Claude Jacquillat sul carcinoma mammario, uno dei riconoscimenti di maggior rilievo per chi si occupa di tumori e premiando il professore è stata la prima volta che il premio è stato dato a uno studioso italiano.
Pier Franco Conte è nato 55 anni fa a Fossano, Cuneo. Ha pubblicato oltre 250 articoli sulle riviste scientifiche più importanti, la maggioranza delle quali sulla caratterizzazione biologica e sui trias clinici nel carcinoma mammario e ovario. E’ stato inoltre ricercatore responsabile di vari progetti di ricerca sostenuti dal CNR e dall’ Associazione Italiana per la ricerca sul cancro, e investigatore principale di numerosi studi di fase II e III che hanno contribuito a definire il trattamento chemioterapico del carcinoma mammario avanzato. Inoltre il professor Conte è stato inserito nell ‘ Editorial Board del Journal of Clinical Oncology per il carcinoma mammario, e continua il suo rapporto costante di collaborazione e scambio con Gabriel Hortobagyi, dell’Anderson Cancer Center , Università del Texas e presidente dell’ASCO, l’associazione scientifica degli oncologi americani. Tutti segni dell’eccellenza degli studi condotti da Conte che sottolineano il suo ruolo sempre più crescente nella comunità scientifica internazionale.Inoltre il professore ha da poco studiato e messo a punto metodi di divulgazione e di “apertura “ al pubblico attraverso l’utilizzo di Second Life, assolutamente innovativi e mai sperimentati in Italia ed è un’altra delle cose di cui desidero parlare con lui.


Mi fanno attendere un po’, ma non molto e ne approfitto per dare un’occhiata in giro. Mi capita sottomano una copia di COM, il giornale del Centro Oncologico Modenese, sparso in ogni angolo del dipartimento. E’ molto interessante e ben fatto, noto con piacere l’utilizzo di tutto quello che può contribuire a costruire percorsi condivisi di comunicazione. All’interno leggo di un progetto specifico indirizzato ai medici di famiglia, per ridurre la distanza con gli specialisti e per affiancare i mutualisti quando si trovano a dover trattare una possibile patologia neoplastica. Il progetto ha avuto una genesi lunga e attenta: dopo una fase iniziale di rilevazione dei bisogni con questionari somministrati sia ai medici di famiglia che agli oncologi, è passato alla fase operativa. Attraverso alcuni incontri si sono messe a fuoco le necessità di entrambe le componenti professionali e definiti, con gruppi di lavoro dedicati e l’analisi di casi clinici, possibili strumenti risolutivi. Si sono approfondite le nuove terapie, con particolare riguardo alle indicazioni e soprattutto alle interazioni ed effetti collaterali e alla gestione delle urgenze( all’esordio della malattia, in corso di terapia antineoplastica, in follo up e nella fase terminale) Questi sono in fatti i temi critici emersi dai questionari, quelli su cui concentrare gli sforzi per garantire la migliore continuità assistenziale e la cura ottimale del paziente oncologico. Negli incontri è emersa la necessità di dotarsi di un “vocabolario” condiviso per parlare di cancro, un’ opera in divenire a cui ciascuno può portare il suo contributo originale in considerazione della propria esperienza.Leggere questo mi fa molto piacere. Da tempo penso che il linguaggio che ruota attorno all’oncologia e al cancro sia un linguaggio che debba essere ripensato e modificato, che questo sia un dovere dei medici, ma anche di chi lavora nell’informazione. I media hanno paura persino a nominare il male che sfuggono, che evitano, che chiamano “brutto male”( come se esista un “bel male”) o “male incurabile”( quando è spesso guaribile e sempre curabile, anche se si tratta di cronicizzare e rendere vivibili e migliori i mesi o gli anni che ci sono da vivere). Inevitabilmente penso a Tiziano Terzani, al suo bellissimo libro “Un altro giro di giostra”, ci penso sempre quando ragiono sulla terminologia “bellica, guerresca e dura” che ruota intorno alla malattia neoplastica. Lui, col suo libro, da malato ci ragionò e chiamò i medici “aggiustatori”, l’acceleratore lineare per la radioterapia “ la ragna” e uno dei chemioterapici “la rossa”.
Continuo a sfogliare il COM e mi soffermo sul Progetto Amazzone.Il progetto Amazzone(http://www.progettoamazzone.it/ ) nasce nel 1996 a Palermo su iniziativa dell’associazione Arlenka onlus. E’ dedicato all’esperienza femminile del cancro al seno vista attraverso il Mito, la Scienza, il Teatro. Il Mito per riprendere contatto con l’Origine, la Scienza per fare interagire ricerca, cure, partecipazione, il Teatro per ridare al corpo valore di comunicazione. Il Progetto si rivolge a tutti, sani e ammalati senza limite di età; valorizza le risorse umane nel percorso di cura della malattia, mettendo nello stesso campo d’azione psicologia, medicina, antropologia, arte del corpo, teatro, comunicazione. L’obiettivo primario è la rimozione dei condizionamenti che stanno intorno al cancro, specialmente al cancro al seno, simbolo della maternità e della femminilità: paura, pregiudizio, isolamento, disinformazione a volte possono pesare più della patologia stessa. Progetto Amazzone patrocina Giornate Biennali Internazionali, importante appuntamento scientifico e culturale in campo internazionale con convegno di oncologia, spettacoli, seminari di cultura umanistica. Sono stati coinvolti alcuni fra i maggiori scienziati internazionali fra cui il professor Conte e il prof . Gabriel. N. Hortobagyi. La prossima edizione, leggo, è prevista dal 18 al 22 novembre 2008 e ha per titolo:” Le Dimore di Kronos nel Mito e nella Cellula”. Filo conduttore sarà il tempo.


E’ proprio a questo punto che una gentile segretaria mi invita a raggiungere il professore nel suo studio. Sono estremamente affascinata e colpita dal “posizionamento” di questo dipartimento e del lavoro intorno e accanto al cancro. Il professore è molto cordiale, ottimo conversatore, serio e sobrio, efficace.


Cominciamo la nostra chiacchierata


Mi racconta dei suoi inizi? Qual è stata la molla che l’ha portata alll’oncologia medica?


-La molla è stata umanitaria. Qualcosa di profondo, imprescindibile e sentito. Studiavo ematologia presso la Clinica Medica dell’Università di Torino con Felice Gavosto, ematologo di fama. C’erano i malati oncologici, ma erano come segregati, come nascosti all’impotenza della medicina, anche se in quegli anni cominciavano ad apparire i primi successi. De Vita, Bonadonna, si cominciava a intravedere una possibile via medica al trattamento di alcuni tumori. Ma questi malati mi colpivano e nacque il desiderio di occuparmene. Erano talmente giovani, alcuni, non me li sono mai dimenticati: ricordo un ragazzo con un osteosarcoma, aveva metastasi polmonari multiple, gli mancava il respiro, faceva fatica: gli stavo vicino, colloquiavo con lui, ne conservo un ricordo vivissimo.Poi ricordo una ragazza.


In che anni siamo?


- Nel 1974, all’incirca. La ragazza aveva un linfoma di Hodgkin che già allora aveva possibilità di guarigione, ma quello che ricordo è che si trattava di una ragazza molto bella, che lavorava nella moda, ho fisse in mente le sue parole, l’evidenza di una ghiandola ingrossata, la percezione di qualcosa che non andava, e il momento in cui tutto, attorno a lei e dentro di lei cambiò all’improvviso. Cambiò il corpo, cambiò il suo rapporto con gli altri, molte persone la lasciarono sola.


Dopo, cosa ha fatto?


- Dall’ematologia, passare all’oncologia fu consequenziale, poi mi trasferii a Bruxelles per due anni a lavorare a un progetto sugli anticorpi monocolonali, e siamo, circa, nel 1975/76. Nel ‘77 torno a Torino e vengo contattato da Leonardo Santi.


Il fondatore dell’IST ( Istituto Scientifico Tumori) di Genova diventato poi Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro.


- Infatti. Avevo mandato il mio curriculum in giro per il modo e avevo ricevuto due proposte dagli Stati Uniti e una da Santi che stava creando dal nulla un Istituto destinato a diventare un faro internazionale per quello che riguarda lo studio e la cura dei tumori. Infatti, gran parte dei migliori primari e dei migliori oncologi non solo liguri vengono dall’IST. Inoltre era vicino e la sfida mi piaceva, accettai.


Non era tentato dagli Stati Uniti? Non lo è ancora, essendo il livello del suo lavoro di rilevanza internazionale?


Sorride.


- Tutti i giorni. No scherzo. Comunque, nel 1982 andai a Houston e iniziai un progetto di ricerca sulla mammella. Fu allora che conobbi Hortobaghyi. Siamo amici e collaboriamo insieme da tanto tempo. Ritornai poi a Genova e nel 1990 Leonardo Santi mi mandò a Pisa dove non esisteva l’oncologia medica.


Non esisteva?


- No. Ho creato la prima oncologia medica toscana, e da Pisa, via via, riuscii a convincere il governo regionale a creare dei dipartimenti di oncologia in tutti gli ospedali delle varie province. Da lì, nel 2002, sono stato chiamato dall’Università di Modena e Reggio Emilia a dirigere il nuovo istituto.
Quindi lei vive e lavora a Modena. Nel nostro paese si può affermare che esistano due modelli di sanità “trainante”, quello lombardo e quello emiliano,. Cosa ne pensa e quale, ritiene, alla fine destinato a predominare.


- In Italia non esiste una sanità statale ma una sanità regionale che offre realtà molto diverse . E’ un dato di fatto. Si possono osservare risultati differenti da regione a regione e dove i risultati sono mediocri o scarsi non è che dipenda dal mancato investimento di risorse. Il problema è nel come vengono investite. Cinque regioni sono responsabili della quasi totalità del deficit sanitario: Lazio, Campania, Puglia, Sicilia e Calabria. Fra le regioni virtuose, in un’ottica di qualità dell’assistenza, i risultati sono rilevanti sia in Lombardia che in Emilia. I due modelli sono certamente diversi nell’impostazione. Quello lombardo delega molto al privato. Delega ma tenga presente che anche nel delegare al privato sono presenti forme di ingerenza della politica, anche se si preferisce non sottolinearlo. Questa delega al privato produce senza dubbio una maggiore agilità gestionale e anche più libertà di attrarre risorse. L’elemento preoccupante è l’inevitabile “selezione dei pazienti remunerativi”. C’è la tendenza a focalizzare l’interesse su certe patologie di maggior richiamo di maggior rilievo sociale. E’ un modello di sistema sanitario dove si mira all’utile e il privato si concentra su quello che produce risorse. Il resto continua a essere delegato al pubblico. Il “modello emiliano” ha una qualità più disseminata ed è un modello all’interno del quale non avvengono discriminazioni. Non c’è la ricerca ad accaparrarsi pazienti con patologie più “remunerative”. L’unico neo è che, dialogando con chi gestisce le risorse, occorre cercare di far capire come sia necessario far coesistere una visione egualitaria insieme all’innovazione. Procedere con la ricerca e l’innovazione è necessario e farlo implica per forza delle scelte, perché si tratta di decidere stanziamenti, e in quel caso escludere qualcosa. Quando si tratta di questo occorre superare delle resistenze, ma la mia opinione è che, per la realtà italiana, il modello da privilegiare è senz’altro quello emiliano.


Il suo dipartimento ha deciso di adeguarsi ai nuovi linguaggi della comunicazione aprendo un “distaccamento virtuale” su Second Life. E’ il primo ospedale italiano a fare una cosa del genere, all’interno di Prometeo, l’isola tutta “made in Italy” dove da poco è presente una copia esatta del Dipartimento. Il navigatore trova l’esatta ricostruzione del palazzo reale, per accedere è sufficiente registrarsi gratuitamente su http://www.secondlife.com/ . A partire dallo scorso aprile sono attive consulenze consulenze settimanali per i pazienti animate dagli stessi esperti del dipartimento. Ogni cittadino, da qualsiasi parte d’Italia potrà accedere direttamente agli ambulatori ed avere un colloquio privato con il medico, disponibile a risolvere dubbi e a fornire assistenza e supporto. Inoltre il dipartimento sta per approntare la prima Fiction in 3D sul tumore al seno , ambientata interamente nella struttura da lei diretta che permetterà di ricostruire l’intero percorso ideale della paziente, dagli esami di screening al post intervento. La fiction sarà ultimata a fine maggio e verrà trasmessa su http://www.intermedianews.tv/ ( la prima web tv italiana dedicata completamente alla medicina) e nel sito del dipartimento, www.com.unimo.it. Il Palazzo virtuale ospiterà anche un appuntamento scientifico di assoluto livello, il primoconvegno virtuale sul tumore del seno, che vedrà la partecipazione di alcuni fra i massimi espertiinternazionali, fra cui, oltre al professor Conte, il prof. L. Gianni dell’istituto Tumori di Milano, il prof. Hortobagyi del MD Anderson Cancer Center di Houston, il prof Slamon dell’UCLA Universitydi Los Angeles, il prof Smith del Royal Marsden di Londra. Questa iniziativa permetterà di far conoscere l’ospedale oncologico virtuale anche al di fuori del contesto italiano, dando il giusto risalto e respiro internazionale alla struttura (come già è avvenuto nella realtà). Lei quindi, professore considera importante l’uso della tecnologia nella diffusione di informazioni corrette su come comportarsi in caso di sospetta neoplasia e nella divulgazione dell’oncologia medica?


- Sì, le tecnologie servono. Bisogna prendere atto delle esigenze del contemporaneo. Vede, io vengo da una famiglia di Cuneo, mio nonno era tipografo e conservo dei bellissimi ricordi. Ad esempio stampò l’ultima edizione del dizionario “Piemontese- Italiano”. Mi diceva sempre:” Un galantuomo sui giornali ci finisce solo il giorno che nasce e il giorno che muore”. A questo background e a questa formazione solida e importante sono molto legato, ma qui arriva una sorta di paradosso. Nel contemporaneo la gente è sottoposta a un continuo martellamento di dati e informazioni, spesso di provenienza incerta quando non inesatta. Occuparsi di una corretta divulgazione assumendosene la responsabilità in prima persona è fondamentale. Si devono trasmettere notizie e indicazioni corrette e siglare col proprio nome e cognome. Per questo la nostra scelta, che affianca il giornale COM news e tante altre attività che ci tengono in costante rapporto coi medici di famiglia, ad esempio, che possono sempre riferirsi a noi, scriverci una mail o telefonarci. E coi pazienti. Per questa operazione di “consulto virtuale” abbiamo scelto Second Life perché è uno degli strumenti tecnologici preferito dai giovani, ed è ai giovani e alle giovani che vogliamo arrivare e fra cui vogliamo intervenire per portare avanti quel lavoro di prevenzione fondamentale nella nostra attività. Inoltre, su Second Life vengono costantemente aperti “luoghi “ufficiali, ministeri, consolati e lo si percepisce e considera come un veicolo tecnologico in grado di fornire informazioni e contenuti maggiormente valicati e affidabili rispetto ad altri.


Veniamo ad altro, pensando al futuro. Lei pensa che un giorno, nella cura del cancro, si potrà arrivare a rendere la chirurgia utile solo per la diagnosi e a basarsi esclusivamente sull’oncologia medica per la cura?


- Questa è la via che si sta percorrendo. Nel tumore della mammella, ad esempio, si è passati ad interventi altamente demolitivi a piccoli interventi microinvasivi. Nei tumori ossei l’amputazione dell’arto è ormai una rarità, il trattamento del tumore del retto permette quasi sempre di salvare la funzione, e potrei fare altri esempi. Per la maggior parte dei tumori, grazie anche alla diagnosi sempre più precoce, la chirurgia aggressiva sta progressivamente riducendo il suo campo di azione, D’altro canto si espande il ruolo della chirurgia nella malattia avanzata: in alcune situazioni oggi è possibile eliminare con successo alcune sedi metastatiche( sarcomi, colon retto ecc), mentre un tempo non si sarebbe ritenuto opportuno intervenire.


E’ cambiato il ruolo dell’oncologo medico?


-L’oncologo medico è un coordinatore. E’ necessario lavorare in gruppo, ci basiamo necessariamente sul sostegno di una equipe interdisciplinare. Ritiene che tra qualche tempo la chemioterapia diventerà preistoria?


- Nei prossimi dieci anni, almeno, la chemioterapia classica ci sarà ancora. E’ una chemioterapia diversa, meno tossica, con terapie di supporto molto più efficaci e usata con giudizio. E’ una chemioterapia che trae grandi vantaggi combinata con farmaci su bersaglio molecolare. Col tempo, ma di certo non è un fatto imminente, si potrà diminuire il ruolo degli antiblastici tradizionali. Il suo è un lavoro ad alto rischio di born out, come si difende?


- Il born out è un rischio. Può spingere il medico a mettere una barriera tra sé e ik paziente. Io non vorrei mai che mi accadesse. Certo, un pochino di distacco in certi casi può essere necessario( anche se difficile) per sopravvivere, ma distacco e barriere sono cose diverse. Intanto è importante poter contare su collaboratori capaci e su una organizzazione efficace. Inoltre, secondo me, è fondamentale sentirsi parte di un gioco più grande. Di qualcosa d’importante che incide e inciderà sulla qualità della vita delle persone. La ricerca ogni giorno conquista un pezzettino di speranza in più per il malato. Questa percezione conforta e sostiene anche se si deve evitare di considerare la malattia in modo rigido come una sfida e trasformare il malato come il campo da gioco, il ring dove combatterla. Nella vita privata per combattere lo stress e il born out pratico sport( sci e tennis) e leggo molto. Sono un appassionato lettore di romanzi.


A questo punto, anche se resterei a conversare per ore con il professor Conte , la nostra chiacchierata è conclusa. La sensazione che porto con me è piacevole e singolare. Si tratta di un eccelso scienziato conosciuto in tutto il mondo, autore di studi contenuti nei manuali di oncologia che si studiano all’università, ma è anche un uomo che vive calato nel suo tempo, attento alle mutazioni e alla tecnologia, ed è soprattutto un medico serio che non ha perso, con gli anni e i numerosissimi riconoscimenti, umanità, empatia e passione per la clinica. Ricordando i primi malati oncologici che incontrò quando era studente a Torino si è quasi commosso, ho percepito una motivazione feconda e nutrita ogni giorno. Lasciando il dipartimento porto con me questa sensazione insieme all’importante idea innovativa di un uso “virtuoso” del web e di Second Life per un attento e meditato lavoro di divulgazione. Per mettere a disposizione sempre più strumenti e aperture.