lunedì 3 novembre 2008

Il "padre" dell'oncologia medica italiana in esclusiva.Ritratto-intervista di Gianni Bonadonna


Di Francesca Mazzucato

“….But in it shall be remembered; We few, we happy happy few,

we band of brothers..” Shakespeare, Henry V

Ho incontrato Gianni Bonadonna una mattina di maggio presso la Fondazione Michelangelo da lui presieduta, una onlus a carattere scientifico finalizzata all’avanzamento della ricerca applicata alla cura dei tumori. Non ero mai stata all’Istituto dei Tumori di Milano e, sul taxi dalla stazione, non ho potuto evitare di pensare a tutte le persone che, negli anni, hanno fatto il mio stesso percorso, con la fatica e la ribellione dipinta in viso, le angosce e le speranze logorate e trascinate in giro alla ricerca di un appiglio, di una soluzione, anche parziale.  Ho immaginato visi stanchi e affaticati, occhi velati da ferite e crepe, da speranze trafitte e poi flebilmente ritornate,  borse  e valige trascinate controvoglia, la fatica dell’arrivare, del domandare l’indirizzo, via Venezian, dell’ipotizzare mani che toccano, che palpano, che prescrivono esami. Ho immaginato l’illusione della speranza, l’incertezza, la decadenza inevitabile, la vita che compie il giro di boa. Ho domandato al taxista, i taxisti conoscono le storie, conoscono tanta vita privata, a volte la serbano e a volte la dilapidano. Era un taxista che sapeva raccontare con rispetto e precisione. Ne aveva caricate tante di persone. L’ho ascoltato concentrata, e così sono riuscita a rilassarmi. Ero molto emozionata. Incontrare Gianni Bonadonna ha significato l’incontro con un uomo che ha reso ( e rende) onore al nostro paese. Ha significato qualcosa di profondo, un momento che sapevo, sentivo, sarebbe stato difficilmente dimenticabile. Avevo letto alcuni dei suoi libri divulgativi. Avevo studiato e approfondito. Forse questo nome non dice a tutti quello che dovrebbe. Gianni Bonadonna è il “padre” dell’Oncologia Medica italiana. Intanto il suo curriculum in breve, poi spiegherò meglio che cosa vuol dire esattamente questa cosa. Cosa ha rappresentato il suo lavoro, cosa sta facendo adesso.

Gianni Bonadonna è nato a Milano nel 1934 e si è laureato in medicina all’ Università di Milano nel 1959. Dopo un tirocinio al Memorian Sloan Kettering Cancer Center di New York, presso la divisione di  chemioterapia diretta da David A. Karnofsky, (da tutti considerato il fondatore della moderna Medicina Oncologica a livello mondiale), iniziò a lavorare all’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano.(Lo chiamò Pietro Bucalossi. Durante l’intervista mi ha detto :” Sono tornato perché volevo che il mio lavoro fosse legato al mio paese”. All’inizio non è stato facileCito da un suo libro:” ..La terapia medica non doveva rimanere la cenerentola del trattamento oncologico. Accantonai momentaneamente i ricordi di New York, dove l’assistenza ai malati non conosceva né pause né ferie e tenni duro proseguendo nel mio lavoro. I colleghi presenti mi osservavano in silenzio., chiedendosi probabilmente che tipo di alieno fossi, ed etichettandomi già come l’americano, quello che pensava di guarire i tumori con i farmaci..”) Nel 1976 venne nominato Direttore della Divisione di Oncologia Medica e, successivamente, Direttore del Dipartimento della Medicina Oncologica. Ha ricevuto varie onorificenze nazionali ed internazionali, tra le quali il premio “Richard and Hinda Rosenthal Foundation”, nel 1982; il premio “David Karnofsky” dell’American Society of Clinical Oncology  nel 1989, la “Medal of Honour” dell’American Cancer Society (1991), il “Clinical Research Award” della Federation of European Cancer Societies nel 1995 e moltissimi altri. Un riconoscimento di grande rilievo è notizia recentissima. L’American Society of Clinical Oncology (ASCO) ha deciso di istituire annualmente la “Gianni Bonadonna Award and Lecture” come riconoscimento dell’importante attività clinico- scientifica svolta da Gianni Bonadonna. L’annuncio ufficiale è stato fatto in questi giorni negli Stati Uniti. Un tributo di valore immenso mai riconosciuto a tali livelli, nei confronti di uno scienziato italiano.
La prima Lecture, che verrà assegnata da un apposito comitato a un ricercatore che si sia particolarmente distinto si terrà il 7 settembre 2007 a San Francisco, California, durante il 2007 Breast Cancer Symposiumche si svolge sotto il patrocinio delle più importanti società scientifiche americane (ASCO, American Society of Breast Disease, The American Society of Breast Surgeons, American Society for Therapeutic Radiology and Oncology, The Society of Surgical Oncology). Non voglio certo limitarmi a un elenco di premi. Che cosa ha fatto il dottor Bonadonna, a che cosa è dovuto tutto questo? Le sue ricerche di maggior rilievo comprendono le prime valutazioni cliniche sull’efficacia dell’adriamicina, della bleomicina e dell’epirubicina oltre ad altri studi clinici controllati di rilevanza internazionale sulla chemioterapia adiuvante e primaria nel carcinoma mammario e nel trattamento della malattia di Hodgkin. E’ stato il primo ad introdurre in Italia la metodologia degli studi clinici controllati in Oncologia Medica. Nel 1972 Gianni Bonadonna disegnò una nuova combinazione di farmaci per la malattia di Hodgkin nota come ABVD, ancora oggi, 30 anni dopo, considerata “gold standard” per il trattamento convenzionale di quel linfoma. Nel 1973 inoltre disegnò e condusse il primo studio clinico per valutare l’efficacia della combinazione CMF ( ciclofosfamide, methotrexate e fluorouracile) quale trattamento postoperatorio adiuvante nel carcinoma mammario ad altro rischio di ripresa della malattia. Il CMF si è dimostrato in grado di aumentare significativamente la percentuale di guarigione. Vorrei che vi soffermaste sulle date delle sue sperimentazioni. Perché sull’Oncologia Medica ci sono tanti preconcetti,  è legata a fosche proiezioni di vie crucis, dolori, ansie, solo il termine “oncologia”, strozza, mozza il fiato, produce la sensazione di essere in bilico, su un piano inclinato. Siamo negli anni 60-70. Io ricordo- in realtà è un ricordo ricostruito- che a mio nonno materno fu diagnosticato un tumore nel 1968. Ero molto piccola ma questo evento doloroso ricucito nella memoria non è mai sbiadito. A mia nonna che ascoltava il medico, atterrita, pallida, terrorizzata, fu detto: “Non è operabile, non c’è niente da fare, morirà fra atroci tormenti”. Ero già grande quando questa frase agghiacciante mi venne raccontata. Non riuscì, per fortuna, a soffrire perché subentrarono complicazioni cardiache e morì molto prima del previsto. Ho un ricordo denso, caldo e affettuoso di quel nonno, e la data mi è rimasta impressa, 1968. All’epoca, ( e anche dopo, in fondo anche adesso nonostante tutti i progressi) la diagnosi di cancro era una diagnosi con l’eco, il sapore e il peso enorme della morte quasi certa. Era una diagnosi sussurrata dai parenti, carbonara, segreta. “Il brutto male”. “Il male incurabile”. Una ineluttabile fatalità che si abbatteva sulle persone e le loro famiglie, senza neanche, all’epoca, il supporto adeguato, che adesso esiste, di una terapia del dolore in grado di lenire quelle famose sofferenze, quei” tormenti” che si supponevano stoicamente da sopportare, visto che per tanti anni il nostro paese è stato agli ultimi posti al mondo nella somministrazione della morfina e di altri oppiacei ai malati terminali.( ma questa è un’altra storia, anche se si interseca, si combina, lambisce il mio incontro con Gianni Bonadonna e il tema della Medicina Oncologica.) Adesso, con fatica, questo tabù è stato in gran parte superato( mi viene in mente un magnifico libro di Sergio Zavoli, “Il dolore inutile”, proprio sul tema della riluttanza colpevole e del ritardo ad applicare le terapie del dolore). Ma si fa fatica ad abbandonare il termine “brutto male” come se altri  mali fossero “belli”. Si continua a dire “male incurabile”. Invece il cancro è sempre curabile e  spesso guaribile. Si confondono superficialmente i due termini. Curabili sono anche pochi anni, o pochi mesi se grazie alle terapie, a trattamenti combinati e alla fine palliativi si riesce a trovare sollievo. Pochi anni possono essere resi vivibili e dignitosi, magari nell’attesa di qualcosa che modifichi radicalmente la situazione, è capitato. Invece nei media aleggia la parola incurabile o un silenzio omissivo. E’ a causa di questa confusione che comunemente si cade in una superficiale  comunicazione che passa dall’euforia esagerata per nuove scoperte magari ancora sperimentali,  ad una erronea insistenza sulla maggiore incidenza dei tumori( senza tener conto della maggiore guaribilità) che crea solo paura e alimenta lo sconforto. L’Oncologia è una branca della medicina, certo, ma è anche una questione che coinvolge il mondo dell’informazione, la qualità della vita, le prospettive per il futuro, l’ecologia, l’etica, in poche parole niente come l’Oncologia, si può definire anche e soprattutto una questione culturale e non solo scientifica. Che richiede l’attenzione, la precisione e il lavoro di tutti, non solo dei medici, dei ricercatori o di chi sta in prima linea nei reparti, ogni giorno. Lo evidenzia molto bene Tiziano Terzani nel suo magnifico e dolente libro” Un altro giro di giostra”.  Terzani utilizza il suo cancro per compiere un viaggio di conoscenza interiore e una esplorazione del mondo asiatico e di quello occidentale. Cure e superstizioni, i modi e i feticci, le abitudini e i riti tipici di una cultura e di un’altra nell’ affrontare i grandi problemi umani, specie quelli della malattia e del dolore. Terzani utilizza il suo cancro che impara a considerare “parte di lui” e non un nemico, per porsi certe domande sulla terminologia che circonda questo male. Troppo guerresca, secondo lui. Si “lotta”contro il cancro, si spera di “vincere la battaglia”. In qualche modo il grande giornalista esplora possibilità linguistiche diffferenti, “accettanti”, lemmi alternativi e definizioni originali ( l’acceleratore lineare per la radioterapia diventa “la ragna”) riuscendo a compiere, a mio parere, un’importante operazione culturale. Ma torniamo alle origini, al pioniere, a Gianni Bonadonna.(La frase di Shakespeare, all’inizio, frase importante per il dottore, è dedicata proprio a lui e agli altri studiosi e ricercatori come lui) Quando a mio nonno parlavano di “atroci tormenti” lui aveva già cominciato a lavorare con gli antiblastici( o antiproliferativi). E sarà la terapia medica con la sua evoluzione che un giorno –quello è lo scopo- permetterà a tanti tipi di cancro di diventare una malattia cronica e controllabile come il diabete, almeno in gran parte dei casi( In moltissimi lo permette già, anche se si tende a non soffermarsi su questo). Cito dal suo libro “Medicina Oncologica”:”L’uso iniziale dei farmaci antiproliferativi non fu il risultato di una scoperta di laboratorio o di studi su modelli animali, ma piuttosto una conseguenza dell’uso di gas durante la Seconda Guerra Mondiale. L’esplosione della nave da guerra John Harvey, colpita dall’aviazione tedesca nel porto di Bari causò la dispersione del gas iprite contenuto in cento tonnellate di bombe immagazzinate nella stiva. Fra le centinaia di marinai contaminati venne documentata un’importante aplasia midollare e linfatica. Un derivato dell’iprite, la mostarda azotata, venne successivamente somministrato da Goodman e Gilman a Yale nel 1943, in sei pazienti con linfoma maligno. La somministrazione di dosi intermittenti di mostarda azotata ottenne una riduzione considerevole delle lesioni neoplastiche, riduzione confermata da studi successivi che suscitarono grandi aspettative…ma anche grandi delusioni. La scoperta, negli anni Cinquanta, degli antifolici e successivamente dei derivati della vinca rosea diede nuovo impeto al trattamento medico delle neoplasie. Per quasi un quarto di secolo i farmaci antiproliferativi sono strati somministrati quasi sempre in forma di monochemioterapia..i mezzi e quindi le ambizioni erano limitati…”

Questo è stato l’incerto, faticoso inizio,( per approfondire quihttp://en.wikipedia.org/wiki/History_of_cancer_chemotherapy#The_first_efforts_.281940.E2.80.931950.29 , in inglese) e David Karnofsky è arrivato poco dopo a continuare il lavoro sulla mostarda azotata e i suoi derivati e, come si può leggere in questa pagina http://www.time.com/time/magazine/article/0,9171,901425-1,00.html ( in inglese), si ritiene che la sua morte, avvenuta nel 1969 sia stata dovuta all’esposizione agli agenti chimici con i quali lavorava. E’ stato, comunque il fondatore della moderna Medicina Oncologica, e Gianni Bonadonna ha lavorato con lui e con il suo vice, Irwing  Krakoff. Afferma:” Sono orgoglioso di essere stato un allievo del grande Karnofsky. Avendo fatto il tirocinio in Italia, dove i professori trattavano tutti, medici, studenti , infermieri, pazienti e famigliari con frettolosa arroganza, mi colpì profondamente il comportamento di David Karnofsky. Lui non era mai stato uno di quelli che recitano un ruolo. Era sempre disponibile con noi giovani medici: ci ha passato il testimone perché combattessimo nella guerra contro il cancro. Perché la combattessimo con determinazione, senza paura, senza fare né creare troppe illusioni. Anche con i pazienti e i loro famigliari era sempre disponibile e ha insegnato anche a noi giovani oncologi a trattare con quella dignità con cui vanno trattate tutte le persone, a spiegare loro con parole comprensibili diagnosi e programmi di terapia, a farne i nostri alleati nella guerra contro il cancro”. Quando ho incontrato il dottor Bonadonna pensavo di domandargli  la sua opinione sulla questione della terminologia così come la affronta Terzani, di chiedere cosa pensa del ricorrere della parola” guerra”, o “battaglia”, quando si parla di cancro, ma poi ho capito che non era il caso. Il suo ruolo di pioniere , di vero e proprio fondatore di una delle branche più moderne della medicina( fino agli anni Novanta, l’esame di Oncologia Medica era ancora un complementare, non esistevano nemmeno libri di testo, adesso è uno dei fondamentali), questo ruolo gli ha imposto di considerare il suo lavoro una sfida. Non era a lui che andavano poste domande sulla terminologia, sulla paura di dire quella parola, non è certo suo il compito ma è di altri: è un dovereinterrogarsi su come parlare di cancro di chiunque si occupi di informazion, dei media in gemerale  che spesso, purtroppo veicolano una informazione frammentaria, emotiva, non consapevole. E’ grazie a uomini come Karnofsky, Krakoff, Bonadonna, Valagussa, De Vita, Carbone, Fisher, Veronesi, Kaplan, Hortobagyi e a tanti altri che si  è potuto arrivare alle terapie geniche, agli anticorpi monoclonali, è grazie a loro che la ricerca prosegue. Anche se a volte, e da noi è storia recente, si cade nel clamoroso errore che debba esistere da qualche parte una cura magica, una pozione miracolosa capace di sbaragliare il cancro per sempre. Si insinua, come un morbo condotto dalla disperazione, dallo sconforto( e magari alimentato dall’assenza di scrupoli di chi vuole lucrare) il pensiero  che la chemioterapia sia un sadismo gratuito che alcuni medici perversi desiderano infliggere a malati inermi. Questo clamoroso equivoco nasce dal fatto che si continua ad ignorare che ogni singolo tumore è una malattia a se stante, diversa da tutti gli altri, anche quelli più simili. Scrive Bonadonna in un capitolo dal titolo eloquente, Le cure miracolose:” Ancora oggi la diagnosi più temuta da un paziente è quella di cancro. La sola parola è capace di evocare disperazione legata alla prospettiva di un cammino verso l’ignoto, una sorta di viaggio forzato, costellato di sofferenza fisica e psicologica, intercalato da complicazioni, note o presunte, legate al trattamento nella presunzione che non sia mai possibile una concreta speranza di guarigione. Paura, senso di frustrazione, disperazione a seguito della presa di coscienza dell’insuccesso dei trattamenti convenzionali, sono da sempre i cattivi consiglieri del malato di cancro e dei suoi famigliari che lo portano a ricercare e adottare trattamenti alternativi. Dal punto di vista strettamente semantico, il termine alternativo cambia significato in rapporto a chi ne fa uso. Assume così il senso di non comprovato, non ortodosso, non convenzionale, complementare ( se usato dai sostenitori), mentre suona come inefficace, fraudolento, discutibile e comunque da condannare ( in bocca a critici o detrattori). Quack( ciarlatano) e quackery( ciarlataneria) sono i termini che l’oncologia ufficiale riserva a tutti i proponenti e ai metodi terapeutici che non rispondano in modo preciso e puntuale  a criteri di validazione clinica.. La storia della comparsa e dello sviluppo delle cure non ortodosse del cancro è vecchia quanto la malattia… Così infatti, nel decennio 1940-50 contemporaneamente allo sviluppo scientifico sull’elettricità e l’elettromagnetismo la medicina non ortodossa ha assunto un orientamento tecnologico. Pazienti con tumori venivano trattati con strumenti fantasiosi come l’ “oscilloclasto “(capace di ricambiare la disarmonia degli elettroni ripristinando lo stato di salute) o l’accumulatore di energia “orgone “ ( macchina in grado di convogliare l’energia cosmica all’interno dei globuli rossi). Durante il decennio  1960-70, che vede il nascere e l’affermarsi della chemioterapia antineoplastica, l’interesse dei propugnatori di terapie non ortodosse passa dalle macchine ai farmaci….La corsa alla ricerca di risultati facili o mirabolanti della medicina  non ufficiale è sempre esistita e continua tuttora. Anzitutto la paura di una malattia che, contro ogni sforzo degli specialisti del settore…viene ancora presentata dai mezzi di comunicazione come un “male incurabile” Ciò crea panico anche in quei soggetti cui viene offerta con onestà professionale ed estrema chiarezza di toccare con mano i progressi compiuti dall’oncologia clinica in termini di vera guarigione. Quanto alla curabilità non si insisterà mai abbastanza nel dire che il cancro è la più curabile delle malattie croniche. In pratica però sembra che tale realtà oggettiva venga rimossa per dare spazio all’inquietudine derivante da notizie del fallimento delle cure ortodosse in “quel particolare paziente”. Il singolo insuccesso provoca la sfiducia generale. Nasce così il desiderio di rivolgersi a chi promette guarigioni certe… Se la malattia si presenta in fase non più guaribile, rivolgersi a chi promette guarigioni miracolose può rappresentare la comprensibile reazione di chi intende tentare “tutto il tentabile” in quanto ritiene di essere all’ultima spiaggia…Il ruolo dei parenti diventa quasi sempre determinante nella corsa alla ricerca di cure miracolose. … Complessivamente il trattamento convenzionale dei tumori viene considerato con sospetto. Della chirurgia, radioterapia e chemioterapia si tendono ad evidenziare soltanto gli effetti collaterali negativi(  mutilazioni, nausea, vomito, perdita dei capelli)…la stessa figura del medico viene vista in una luce distorta, linguaggio difficile, atteggiamento autoritario, scarsa disponibilità a creare illusioni.” A  questo punto citare la vicenda Di Bella e tutto quello che ha comportato, è persino superfluo. Quindi una mattina di maggio sono andata a incontrare questo pioniere, quest’uomo il cui nome è tanto onorato all’estero e negli ambienti scientifici, quanto sconosciuto ai più. Grazie al suo lavoro la vita e la qualità della vita di un numero incalcolabile di persone è incredibilmente migliorato. Ma questo ha richiesto una dedizione assoluta, totale e totalizzante. Riporto le sue parole, relative ai primi tempi in  cui, al ritorno da New York, aveva cominciato a lavorare a Milano( Dal libro di cui è coautore  “Dall’altra parte”):” Un po’ irruente com’era e com’è anche oggi il mio carattere, dissi a Bucalossi che  la terapia dei tumori non era solo chirurgica e radioterapica e che l’Istituto doveva qualificarsi anche per la terapia medica se voleva diventare un vero e proprio centro di riferimento. Occorreva quindi un’impostazione più sistematica e sarebbe stato opportuno creare un reparto di chemioterapia clinica. Mi guardo di sottecchi e sbottò:” Mai contento lei? Intanto cominci a dimostrarmi che in America non ha solo imparato ad iniettare farmaci.” E qualche tempo dopo, lungo per me ma breve per lui, mi affidò ufficialmente la responsabilità di un piccolo reparto, l’embrione di quella che qualche anno più tardi, nel 1968,  diverrà la divisione di Oncologia Medica, la prima creata in Italia.” Gianni Bonadanna però è anche un medico che, dal 1995, ha vissuto un’esperienza terribile passando dall’altra parte. Ha avuto un ictus. Una malattia improvvisa, capace di infrangere ogni cosa in pochi attimi. Forse rallentando gli impegni, la dedizione totalizzante alla cura e alla ricerca sarebbe cambiato qualcosa, o forse no, non si può dire. “ Dal cancro si può guarire, molti possono godere di una buona qualità della vita, anche, nonostante quello che comunemente si pensi, fra un ciclo e l’altro della chemioterapia. Invece le conseguenze di un ictus spesso non perdonano, sono presenti tutti i giorni, sono sempre dolorosamente evidenti.”Mi dice dopo che la segretaria mi ha fatto accomodare nel suo ufficio, grande, strano, colorato, etnico, accogliente, tappezzato di fotografie della sua amata India, ( ci è stato 40 volte, ha incontrato Indira Gandhi, sull’India anni fa ha scritto un libro e sta lavorando a un altro), un ufficio che è il mosaico di una vita fuori dall’ordinario,  che gli somiglia , che accoglie e abbraccia, con i muri senza neanche una fessura bianca, completamente occupati dalle immagini dei suoi maestri , dai riconoscimenti che ha ricevuto, dai frammenti di una vita che ha conosciuto gioie e dolori. La vita di un uomo che con le gioie e i dolori ha lavorato, le tracce di un curioso enciclopedico sciamano, atipico italiano che ha reso il nostro paese quello che non è più, quello che si spera che un giorno sarà ancora- all’avanguardia, imitato, considerato- un uomo che ha visto i guerriglieri afgani che preparavano le polveri da sparo, gli indiani in processione per lavarsi i piedi nel fiume Gange e la morte e la vita a giocare a rimpiattino. Una mente da Nobel. Parliamo della sua malattia:” Da quel giorno io non sono più quello di un tempo, un ictus arriva e ti segna; per come eri e come sarai. E poi tenti di risalire minuto per minuto il burrone in cui sei precipitato.”Mi fa notare una frase di Confucio, scritta su un foglio di appunti, che gli è particolarmente cara:” La nostra maggior gloria non è nel non cadere mai, ma nel risollevarsi dopo ogni caduta. Beh, io sono caduto 70 volte 7. Ma mi sono rialzato”  Lo ha fatto, si nota, si vede; recuperare il massimo, il possibile, con una volontà di ferro e una determinazione che lascia senza fiato, che ammutolisce per latenacia rara. La tenacia dei pionieri. Mi indica Karnofsky mentre procediamo con una chiacchierata che tocca diversi temi e non somiglia per niente  a un’intervista tradizionale. Ancora il passato, ancora gli inizi col suo maestro.
Lui era un uomo di una cultura straordinaria. Quando l’ho incontrato stava leggendo “Le confessioni di Sant’ Agostino”. Sapeva tutto. Era enciclopedico. Mi conosceva da una settimana, ma sapeva che un giovane a New York poteva sentirsi spaesato, così si offrì di prestarmi la sua macchina. Sono sempre stato molto curioso, con la sua macchina mi è stato possibile cominciare ad esplorare una città straordinaria, andare in giro.”Mentre mi racconta queste cose l’emozione è grande, mi attraversa la mente la data della diagnosi al nonno,  e come la sua, tante diagnosi che mozzavano la speranza, che lasciavano inermi e terrorizzati. Che schiantavano. Negli stessi anni, quest’uomo insieme ad altri coraggiosi temerari, procedevano nella ricerca, con la lentezza necessaria, con la precisione , la puntualità, l’attenzione scientifica necessaria.” E’ una storia lunga e dolorosa- mi dice- costellata di cadaveri lo sa? Eppure è una storia importante. Insieme a un gruppo di persone come me abbiamo condotto ricerche promettenti che hanno modificato l’approccio terapeutico ai pazienti oncologici , migliorandone l’attesa di vita e la qualità della vita.” Io annuisco. Lui continua:” Adesso hanno tutti fretta, troppa fretta, e i giornali sempre ad enfatizzare scoperte che definiscono come fondamentali, decisive. Invece ci vuole tempo, tanto tempo.” Sento che sto incontrando un uomo che ha siglato la storia della medicina, certo, ma anche la Storia nel senso più ampio e più alto. Sento che il suo lavoro, quello di prima e quello che sta facendo adesso, riguarda tutti, molto da vicino.

Gianni Bonadonna non si è lasciato piegare dal suo male, proprio no. Me ne rendo conto, durante il nostro incontro, a ogni istante. Si distrae un attimo e mi racconta che è un grande amante della musica classica.“Tutta, la ascolto tutta, anche la lirica. Se dovessi dire cosa preferisco, beh, per cominciare Beethoven, di sicuro, poi Bach e Mozart.. L’ictus ha intaccato alcune funzioni del mio corpo, ma non la memoria, la capacità di ascoltare e godere della buona musica.” Stando in sua compagnia, l’ictus si lascia dimenticare. Non per lui certo, ma per chi gli sta accanto.  Lo dimentico spesso. Lo ascolterei per ore, rispettando tempi e ritmi del suo discorrere. La fatica delle parole che poi arrivano, perfette. Viaggia, tiene conferenze e convegni e  scrive ancora, libri di carattere divulgativo sulle necessità di modifica e umanizzazione del sistema sanitario e della medicina  Se dovesse sintetizzare cosa ha significato, cosa significa per lei, trovarsi dalla parte del malato?
Significa che mi sono ritrovato a giocare una partita a scacchi come quella che Ingmar Bergman ha ripreso nel film “Il settimo sigillo”. Vivo costantemente sotto una spada di Damocle e devo stare all’erta. Ma  ho fatto il possibile per risollevarmi. Di certo si è risollevato ma a che prezzo? Ho vissuto un lunghissimo periodo di riabilitazione, perché, dopo il coma farmacologico seguito all’operazione ero emiparetico, afasico, mi ritrovavo un corpo privo di tono e della necessaria coordinazione. Da persona attivissima mi ero trasformato in un dis- abile. Inoltre il dolore.
Cosa può dirmi del dolore?
Il dolore è stata  una presenza costante, a volte talmente acuta che mi pareva di impazzire. Non è mai scomparso del tutto, anche adesso, anche in questo momento è presente.  Lo avvertii al risveglio, subito. Ma lo sa che le prime parole che riuscii a dire furono in inglese?
Non ne dubito. Lei ha lavorato a lungo prima in Canada e poi negli Stati Uniti. Anzi, le suore del Santa Cabrini Hospital di Montreal la accolsero, la incoraggiarono e la aiutarono a migliorare il suo inglese e a renderlo corretto e fluente

E lei come lo sa?( Mi guarda stupito e divertito)
Ma dottor Bonadonna, mi sono documentata. A lungo e in modo approfondito. Ho apprezzato molto i  libri divulgativi, quelli scritti dopo la malattia,  come “Dall’altra parte” a cura di Paolo Barnard, di cui è coautore e“Coraggio, ricominciamo. Tornare alla vita dopo un ictus, un medico racconta” Penso che  lei , attraverso la sua testimonianza elabori la sua dolorosa esperienza e , comunicandola, renda un grande servizio a tanti ammalati  o a persone vicine ad ammalati. Persone che hanno bisogno di parole che incitano alla tenacia, al non lasciarsi andare. Ha scritto infatti.” Mai arrendersi e alzare bandiera bianca”. Lo ribadisco…  Poi ci sono tante cose da tenere presente. Adesso sto concentrando gran parte del mio lavoro sull’umanizzazione dell’arte medica. Vede, la medicina è un’arte: perspicacia e intuito, capacità di creare un dialogo con il paziente, tutte queste cose equilibrate e mescolate.. Sfortunatamente  è doveroso dire che di fronte alle grandi scoperte della biologia, l’arte della terapia sembra quasi passata in secondo piano.  Occorre riscoprire e rilanciare il VALORE dell’assistenza ai malati. Negli ultimi anni l’università  ha privilegiato troppo la dimensione tecnica dei futuri medici trascurando il versante umano della professione. Quindi, l’approccio al malato, a volte, somiglia a quello verso una macchina in avaria:individuato il guasto ci si limita a porvi rimedio.( Tiziano Terzani, nel suo libro, chiama, non a caso, i medici che l’hanno in cura “aggiustatori”)La cura sembra essere un adempimento tecnico. Di conseguenza il medico stenta a vedere nel paziente la persona. Se ne è reso conto durante il suo “percorso” dopo l’ictus?
-Certo. Ne  ero consapevole anche prima ma ho compreso, trovandomi dalla parte del malato che occorre ricordare SEMPRE che l’obiettivo principale della professione medica è di rendere un servizio all’umanità. La passione senza compassione è destinata a formare un medico dimezzato.  Per invertire le odierne tendenze sembra indispensabile riformare l’università riportandola al suo scopo primario: privilegiare la cultura umanistica oltre alla tecnologia. Sono d’accordo. Credo sia un’urgenza percepita dalla maggior parte della gente. Sì. Io, aiutandomi con diapositive per supplire alle difficoltà di linguaggio che a volte, purtroppo si ripresentano, sto tenendo conferenze e partecipando a convegni ovunque e lo ripeto sempre. E’ tempo, nelle università di insegnare agli studenti a entrare nel mondo delle malattie quali sono vissute dai pazienti, non a contemplarle con distacco. Serve una medicina più umana, anche perché so, sulla mia pelle, che solo con la collaborazione e la fiducia dei pazienti si possono raggiungere gli obiettivi sperati

Mi spiega che il suo scopo è l’introduzione di una vera e propria materia di studio negli atenei e anche il tentativo di riprogettare le strutture sanitarie “intorno” alla persona e ai suoi bisogni. Mi dice che ci sono stati enormi progressi nell’oncologia, una forte riduzione di mortalità per alcuni tipi di cancro ma si è registrato un peggioramento della relazione medico- paziente. E non è solo una questione che riguarda l’oncologia. L’intero sistema è costruito per essere funzionale alle esigenze organizzative del personale sanitario: per renderlo “a misura di paziente” è necessario ripensare tutti i momenti del passaggio del malato all’interno della struttura e dedicare la giusta attenzione anche agli aspetti emotivi e psicologici. Fondamentale ad esempio prevedere la possibilità di accogliere la famiglia e permetterle di vivere il difficile periodo della malattia a fianco del proprio caro. I medici si sentono onnipotenti, e questo in tutti i campi.  Ragionare, rilanciare l’assistenza, personalizzare la comunicazione, questo è fondamentale.

Naturalmente Gianni Bonadonna andrà negli Stati Uniti in occasione del  riconoscimento che gli hanno conferito. Prenderà l’aereo e interverrà. Sta già pensando al prossimo libro e alle conferenze sui temi che gli stanno a cuore e che credo, siano i temi cruciali con i quali la medicina deve confrontarsi. Con la quale l’uomo deve confrontarsi. Esco dalla sede della Fondazione con la consapevolezza di avere incontrato una persona eccezionale.

FONTI

Gianni Bonadonna

Gioacchino Robustelli della Cuna

Medicina Oncologica

Masson

Sandro Bartoccioni

Gianni Bonadonna
Francesco Sartori

Dall’altra parte. A cura di Paolo Barnard

Bur, 2006

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Gianni Bonadonna

Coraggio , ricominciamo. Tornare alla vita dopo un ictus.

Baldini Castoldi Dalai , 2005

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Tiziano Terzani

Un altro giro di giostra

Viaggio nel male e nel bene del nostro tempo

Longanesi, 2004

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Sergio Zavoli
Il dolore inutile

Garzanti,  2005

SITI

La Fondazione Michelangelo

http://www.fondazionemichelangelo.org/

Un’ intervista del dottor Bonadonna sul cancro della mammella

http://www.senology.it/Intervista_Bonadonna.php

Una recensione di Coraggio, ricominciamo

http://www.zam.it/home_cat.php?id_autore=586&cat=me

La mia recensione di Dall’altra parte

http://scritture.blog.kataweb.it/francescamazzucato/2006/12/dallaltra_parte.html

Uno dei tanti premi ricevuti dal dottore. Per conoscere meglio la sua storia e il suo percorso

http://www.progettoamazzone.it/progettoamazzone/premi/amazzoneoro.aspx

Un suo libro del 2001, La cura possibile

http://www.libreriauniversitaria.it/cura-possibile-nascita-progressi-oncologia-bonadonna-gianni/libro/9788870787283

Per una medicina più umana. Un intervento

http://www.corriere.it/vivimilano/caso_del_giorno/articoli/2006/02_Febbraio/24/caso.shtml

Il premio ASCO a lui dedicato e le motivazioni( in inglese)

http://melanomaca.asco.org/portal/site/ASCO/menuitem.c543a013502b2a89de912310320041a0/?vgnextoid=881458ed87ed2110VgnVCM100000ed730ad1RCRD

Il contributo di Gianni Bonadonna alla storia della chemioterapia( in inglese)

http://www.springerlink.com/content/l3h6034w8193m433/

(un ringraziamento al dottor Gianfranco Addamo per l’approfondimento, lo stimolo costante, i chiarimenti, la condivisione , l’amore e tutto il resto. 23 giugno 2007)